Rofrano, piccolo centro agli estremi limiti della Provincia di Principato Citra, fin dal tempo dei Normanni feudo dell’Abbazia greca di S. Maria di Grottaferrata, nel mese di gennaio del 1476, per una strana operazione di compra-vendita, passava nelle mani della famiglia napoletana degli Arcamone. Dieci anni dopo, essendo stato Aniello Arcamone implicato nella “congiura dei baroni”, re Ferrante avocò i suoi beni alla corona, per poi concedere il 13 marzo 1490, come ricompensa dei servizi prestati, la baronia di Rofrano al conte di Policastro Giovanni Carafa, che si arrogò il diritto di giurisdizione anche sul clero, come gli abati predecessori.
La baronia, messa all’asta dal Regio Consiglio per pagare i creditori di Ferrante Carafa, fu attribuita a Lucrezia Comonte, che ne restò in possesso fino al 26 novembre 1583, allorché la vendette a Giovan Battista Farao.
Per assicurare alla diocesi di Capaccio le condizioni per una vera rinascita, la Curia Romana procedette alla nomina di un “vicario apostolico e commissario”, esautorando il vescovo in carica. Risolvere “il caso Rofrano” e ricuperare la piccola comunità all’obbedienza dell’ordinario diocesano fu la finalità perseguita e raggiunta dai vicari apostolici Orazio Fusco e Silvio Galasso.